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L’Istruzione Tecnica Terziaria: mancato decollo e scenari per il rilancio

Pubblicato il: 11/12/2015 10:33:15 -


Il convegno del 18 novembre si è concluso con un insieme di proposte finali di rilancio dell’Istruzione Tecnica Secondaria e Terziaria, pensati come segmenti di un sistema coerente e strategico.
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L’associazione Treelle e la Fondazione Rocca hanno sottolineato l’anomalia italiana per quanto riguarda l’Istruzione Tecnica Terziaria. Basta un confronto: i possessori di titolo di studio terziario breve professionalizzante, nella fascia di età 30-34, costituiscono il 17% della forza lavoro in Francia, il 10% in Germania. In Italia la percentuale  trascurabile.

Un sistema generale, non universitario, di istruzione tecnica terziaria inizia, a parte la breve esperienza dei Superperiti degli anni ’60, nel 1999 con l’istituzione dei corsi IFTS brevi, uno o due semestri. Nel 2008 la normativa, successivamente perfezionata nel 2013, apre il secondo canale, gli Istituti Tecnici Superiori. La programmazione spetta alle Regioni. Gli IFTS sono gestiti da Consorzi di Scuole, Università, imprese, Enti di formazione ed eventuali altri soggetti. Gli ITS sono corsi biennali, promossi da Fondazioni con uno specifico stato giuridico. Sono definite 6 aree tecnologiche e ogni Regione può creare non più di una Fondazione per ogni area.

Secondo i dati Indire, nel Maggio 2015 erano state istituite 75 fondazioni, in prevalenza nel centro-nord; erano attivi 197 corsi frequentati, complessivamente nei due anni, da circa 4000 studenti. Nel 2014 si erano diplomati 845 soggetti. Il sistema, come si vede,  ben lontano dall’avere un impatto significativo nell’economia italiana. Romano Prodi, intervenendo nel convegno, ha definito questi dati “numeri da apostolato”.

Dalla ricerca, un’intervista di gruppo a dirigenti di ITS accompagnata da un questionario semistrutturato, sono emerse le criticità interne al sistema:

– lo status giuridico delle Fondazioni manca di riferimenti normativi specifici e la divisione fra diritto privato e pubblico è un serio limite, inoltre i troppi organismi interni rendono la governance difficile;

– il titolo di studio rilasciato è poco riconoscibile e dal valore aggiunto non chiaro, se si eccettuano quei casi in cui vengono rilasciate certificazioni ben codificate, anche a livello internazionale, come quelle del settore nautico;

– la dipendenza finanziaria da bandi pubblici biennali e regionali rende la programmazione difficile e di corto respiro e ne impedisce una visione interregionale;

– la piccola dimensione di molte imprese rende loro difficile sia la co-progettazione sia l’alternanza;

– le Fondazioni sono troppo frammentate;

– manca una comunicazione efficace sull’esistenza e le possibilità degli ITS, oltre che un serio orientamento.

Queste, in sintesi, le proposte finali del convegno:

qualificare e rafforzare l’offerta formativa degli ITS biennali mediante diverse misure: affidamento dei corsi anche ai consorzi e mantenimento delle Fondazioni, con governance semplificata, solo se raggiungono buoni standard; impegnare nuove risorse del MIUR; rafforzare il titolo nella normativa e nella certificazione; promuovere l’orientamento nella scuola secondaria; introdurre all’interno delle Università, ma con governance autonoma, una nuova offerta formativa triennale, sul modello francese, denominata Istituto Professionale Universitario;

Nel medio lungo periodo creare un canale terziario professionalizzante alternativo e distinto dall’Università (Nome possibile Alta Scuola di Tecnologia), con lauree triennali molto specifiche sul modello delle Fachhochschulen tedesche.

Qualche osservazione

I dati dicono chiaramente che gli ITS non sono diventati quel canale unico e stabile di istruzione tecnica post-secondaria che si immaginava. L’architettura costruita, basata sulle Fondazioni, che avrebbe dovuto risolvere il problema di dare stabilità, viene fortemente criticata, tanto che si propone di sfoltirne il numero facendo procedere solo le più solide e permettere l’apertura di ITS anche ai più agili Consorzi.

Ma vengono anche aperti due nuovi scenari: gli Istituti Professionali Universitari, simili agli IUT Francesi, e, in un tempo più lungo, le Alte Scuole di Tecnologia, istituzioni terziarie parallele all’università, come le Fachhochschulen tedesche. Queste potrebbero forse nascere dagli ITS con maggiore successo. Ambedue queste soluzioni risolverebbero, anche se in modo diverso, il problema della riconoscibilità del titolo di studio.

Nessuna delle due soluzioni è facile. Nel primo caso le Università dovrebbero creare una governance autonoma, garantirle i finanziamenti e accettare che la docenza sia affidata prevalentemente a professionisti non accademici. I corsi per le professioni del settore sanitario, per le quali tutto questo avviene già, sono fortemente sostenuti dall’interesse della categoria medica a creare questo canale. Inoltre il problema dell’alternanza è risolto automaticamente dalle cliniche. Ma questo non è facilmente riproducibile, salvo forse nei casi in cui gli ordini professionali hanno un analogo interesse. Uno specifico canale sul modello tedesco, che sarebbe la soluzione più stabile, ha il difetto di richiedere un forte investimento e, come tutte le istituzionalizzazioni, presenta qualche rischio di autoreferenzialità.

Lo studio Treelle-Fondazione Rocca ricorda, per completezza, anche la possibilità di corsi post- secondari negli Istituti Tecnici. Comunque non si potrebbe trattare di una diffusione indiscriminata: un numero limitato di istituti, capaci di sostenerli, dovrebbe essere autorizzato. Il problema, in questo caso, è la riconoscibilità del titolo di studio, l’inevitabile pressione delle scuole per entrare nel circolo ristretto, la “scolarizzazione” e quindi la rigidità dell’offerta. Lo studio, comunque non consiglia l’attivazione di questo canale proprio per queste motivazioni, ma ne aggiunge un’altra: la creazione di questo percorso potrebbe ulteriormente indebolire la caratterizzazione professionalizzante degli IT secondari.

Come nel caso degli Istituti Tecnici esiste un problema di scenario socio-economico su cui riflettere ulteriormente. Si ricordi, per esempio, che il numero di laureati in Italia è notevolmente più basso che in altri paesi OCSE.

Per approfondire:

Treelle-Fondazione Rocca, Innovare l’Istruzione tecnica secondaria e terziaria. Per un sistema che connetta scuola, università e imprese

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L. Berlinguer, Education at a Glance 2015: investire su istruzione di qualitˆ e di alto livello

Mario Fierli

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